Studi Strategici ed Intelligence… for dummies

Il Campus dell’Intelligence italiana

Published by Silendo on Dicembre 1, 2015

Da qualche settimana la Scuola di Formazione del Sistema di Informazione nazionale ha un nuovo direttore, Paolo Scotto di Castelbianco. Il nuovo responsabile della formazione è stato intervistato da Andrea Cucco per Difesa Online. 

Direttore, da quanto è operativa la nuova Scuola di Formazione?
Nasce come “unificata” con la legge di riforma. Come per altre funzioni previste dalla legge, è servito – come è ovvio – un periodo di “aggiustamento del tiro”. Oggi ci si avvicina sempre di più a una Intelligence Accademy.

Ogni anno vi è ancora qualche aggiustamento?
La Scuola assomiglia in qualche maniera a quello che è il sistema generale dei Servizi, che sono parte attiva nel far presenti le priorità operative. Il governo e i ministri del CISR (Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica, ndr) stabiliscono il fabbisogno informativo che rappresenta la priorità per i nostri decisori finali. La Scuola – vero e proprio Campus dell'Intelligence nazionale – esprime attività di lunga durata e aggiorna la propria offerta formativa a seconda delle indicazioni del decisore politico: si va dal cyber all'analisi della propaganda dell'Isis. La realtà Scuola è un centro di ricerca e di formazione, ma anche un moltiplicatore di analisi. Un luogo di addestramento e promozione della cultura della sicurezza, ma anche un 'ponte' strutturato per i rapporti con il mondo esterno e in particolare con le università.

Quanti sono i corsi?
Si va dalla formazione iniziale a corsi di alta specializzazione. E ancora, percorsi di aggiornamento che assolvono a funzioni molto specifiche, come i laboratori linguistici, di cyber o di meccanica fine, ma anche corsi di secondo livello tesi a formare la dirigenza apicale. Molti 'alunni' vengono dalle forze armate, altri dalle forze di polizia e altri ancora dal mondo civile. Cerchiamo di farli intelligentemente contaminare e arricchire reciprocamente con le proprie esperienze. Alla scuola mostriamo come ci proiettiamo e cosa vogliamo costruire per il futuro. Accorciamo le distanze con i cittadini e allunghiamo il campo. Uno strumento per dare profondità strategica.

Quanto dura l'iter iniziale di un giovane laureato?
I 30 neo-assunti dalle università riceveranno una formazione di alcuni mesi per apprendere gli aspetti giuridici, organizzativi, o propri di altri settori operativi, cosicché anche l'uomo cyber impari tutto ciò che può arricchire il suo diritto di cittadinanza del mondo intelligence. Vi è poi la sicurezza e, ovviamente, l'addestramento “operativo”, in quanto non si lavora per un'azienda o per un ufficio qualunque ma per l'Intelligence nazionale. Da noi il lavoro è trasmissione di conoscenze non banali e spesso complesse, è una visione del mondo e – come dice l'ambasciatore Giampiero Massolo, Direttore generale del DIS – è anche una grande lezione di umanesimo. Un apprendimento che non di rado si fa 'rubando' con gli occhi e stando assieme a colleghi più esperti, in un perimetro di forte disponibilità stando tutti dalla stessa parte. Chi entra nei Servizi è considerato una risorsa, non un criceto da far correre su una girella.

Avendo già la responsabilità della Comunicazione istituzionale. Il nuovo incarico della direzione della Scuola la impegnerà parecchio.
E' una bella sfida. Il 28 ottobre scorso, a Gorizia – era la 21maesima tappa del nostro roadshow 'Intelligence live' nelle università italiane – ho fatto vedere, un po' per gioco ed un po' per provocazione, il trailer dell'ultimo film di James Bond in cui il protagonista salta da un tetto all'altro e spara con un fucile di precisione. Ho spiegato che non c'è nulla nel film, nonostante sia divertentissimo, che corrisponda alla nostra vita. Dare delle aspettative sbagliate ai giovani significa farli arrivare qui pensando a chissà cosa. Il challange è principalmente “intellettuale”. Non ci sono inseguimenti sulla croisette della Costa Azzurra. Si è chiamati a mettere in gioco la propria intelligenza di fronte a problemi molto complessi. Servono persone disposte a sfidarsi continuamente, spostando i propri confini interiori per decodificare la realtà fluida nella quale viviamo. Non definisco i nostri studenti solo degli “analisti”, ma veri “intelligence officers”. Non sono ricettori passivi di carte ma protagonisti di un percorso, contermini a un discorso comune di crescita. Formulano pensieri definiti e ipotesi precise. Se mi si passa una citazione, viene in mente quell'espressione di Plutarco: "I giovani non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere". In ogni caso i nostri ragazzi sono degli esperti e persone affidabili, alle quali possono anche essere affidate missioni sul campo, per esempio per valutare la qualità di informazioni specialistiche e quindi l'affidabilità della fonte che le fornisce. Per incarichi così delicati occorrono requisiti caratteriali e motivazionali. Alla Ferrari le figure sono varie: c'è il meccanico, l'ingegnere ed il pilota: tutti, però, lavorano per la squadra e in un modo o nell'altro sono accomunati dalla passione per la velocità.

Possono esserci disillusioni tra gli allievi?
Cerchiamo di fare in modo che questo non si verifichi. All'inizio in tanti scalpitano in attesa che si apra un velo capace di mostrare il mondo intero. Poi però comprendono quanto l'intus legere, il “DNA dell'intelligence”, sia frutto di esperienze e successiva crescita professionale. La Scuola offre la toolbox, la cassetta degli attrezzi. Equilibrio, professionalità e le indicazioni dei vertici daranno orientamento all'azione. Si delude chi è stato male informato e quindi si porta dietro aspettative sbagliate. Noi ci sforziamo di fornire il quadro più chiaro possibile, sviluppi compresi. Un compito fondamentale: formiamo coloro che ci affiancheranno e poi avranno compiti operativi e dirigenziali. L'intelligence ha guadagnato una crescente fiducia tra i cittadini, oggi possiamo fare di più perché c'è una coscienza della sicurezza “partecipata”. I giovani non pensano di esser arrivati sulla nave di Capitan Uncino ma ad un posto di alta responsabilità.

In passato parte del fascino “oscuro” dei Servizi era legato proprio al mistero, alla non conoscenza.
Quando dico ai giovani che non avranno la pistola o il tesserino, o magari Ursula Andress in bikini che li aspetta su un atollo caraibico, che non giocano a baccarat in un casinò esotico vestiti con uno smoking, spiego alle nuove leve che serve adrenalina allo stato puro, ma di un altro tipo. In uffici con persone anche molto diverse per background c'è una grande attenzione e tensione al risultato. Siamo una nicchia: dobbiamo dare risultati chiari e competitivamente significativi per i decisori politici, avendo sempre chiara la nostra funzione. Faccio un esempio: nell'intelligence economica non siamo l'Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza, non siamo l'ufficio studi di Bankitalia né l'addetto commerciale dell'ambasciata X o Y… Siamo l'intelligence: dobbiamo fornire qualcosa che non sia altrimenti disponibile al nostro decisore. Facendo squadra con tutte le entità possibili che giocano in campo.

Ho visitato molti reparti di forze speciali. L'aspetto cinematografico dell'agente segreto mi è parso appartenere più a questi militari.
Nel nostro mondo c'è una parte di alta specializzazione dedicata a teatri difficili, a volte quasi impossibili. Non tutti devono fare tutto. Non chiedo ad uno del Comsubin di gestire il bilancio, come non chiedo ad uno del bilancio di paracadutarsi tra le mangrovie per aiutare a contattare fonti in loco o liberare ostaggi. La componente special forces esiste ed è importante ma fa parte di un altro serbatoio di reclutamento, peraltro una nicchia. Il danno potenziale di un hacker evolutissimo potrebbe essere maggiore di quello di un terrorista islamico. Certo, l'impatto sull'opinione pubblica di un attentato è terribile, ma il danno derivante dalla violazione di un segreto industriale – con il conseguente fallimento di una società e la perdita del posto di lavoro da parte dei dipendenti – è una minaccia concreta che profila il rischio di un downgrading strutturale del Paese. Il nuovo operativo può indossare anfibi e sahariana oppure 'imbracciare' un laptop per gestire una rete informatica.

Oggi i terroristi sanno sempre più spesso hackerare, oltre che sparare.
E' vero, ma mentre il terrorista-hacker rappresenta una generazione evolutissima, la maggioranza indossa ancora cinture esplosive. Personalmente ritengo che la minaccia cyber sia quella che richiede la massima attenzione, anche perché non è diffusamente percepita come un pericolo. E' come per l'Aids qualche anno fa: la gente lo contraeva, si ammalava e lo diffondeva perché non condivideva l'informazione o neanche lo sapeva. Molte aziende nazionali, in particolare le realtà delle pmi – per reticenza o per timore di perdere quote di mercato, o semplicemente per scarsa cultura cyber – sottovalutano il rischio. E' un problema reale: per raggiungere l'edificio in cui ci troviamo bisogna superare diverse barriere fisiche, ma un computer può anche essere violato da Timbuktù. Senza contare che ognuno di noi porta con se uno smartphone che racconta la propria vita: foto, appuntamenti, password, contatti, social.

Su questo punto sarà più semplice lavorare con le nuove generazioni.
L'obiettivo che ci prefiggiamo nei contatti con le università è attingere ad energie qualificate e virtuose, consapevoli e preparate per portarle nel nostro mondo. Il 'sangue nuovo' rigenera tutto l'organismo. Certo, parliamo di numeri minimi, quasi “omeopatici”, ma è un processo avviato. Stiamo cercando di fare sistema collaborando con centri di alta formazione quali le università o le accademie, il mondo industriale ed enti come il CNR o l'Agenzia Spaziale. A ragione, il sottosegretario Marco Minniti, Autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica parla di alleanza strategica tra Intelligence e accademia. Il confrontro prosegue, e i giovani vengono anche incoraggiati con borse di studio. La nostra commissione ha recentemente esaminato delle tesi, premiando 5 neolaureati di altrettanti atenei. In particolare, ricorso il contributo di uno studente dell'università di Cagliari che, partendo dalla vulnerabilità degli smartphone, ha elaborato strategie di attacco al sistema Android . Uno studio che ha evidenziato una mentalità dinamica e creativa. Abbiamo verificato quanto proposto – “in vitro”, rispettando i limiti di legge – e funziona. L'esempio vale come cifra: chi è capace di innovare e portare nuove idee merita sicuramente di lavorare con noi.

Quando osserva questi ragazzi, ricordando il suo periodo di formazione, cosa pensa?
Penso siano più fortunati. Ogni epoca ha le proprie regole di interazione sociale e la “Scuola” dei miei tempi era molto diversa. Quando io ho cominciato, vigeva il metodo “Karate Kid”: dai la cera, togli la cera… Si facevano spesso cose senza comprenderne immediatamente l'importanza. Oggi la formazione è più inclusiva e interattiva.

Meno ideologie…
Sopratutto un'apertura al mondo. Oggi l'Intelligence è consapevole del valore del need to share piuttosto che del tradizionale need to know ad oltranza. Altro aspetto è il beneficio di un mondo che, pur gerarchico, si è dovuto confrontare ed adattare ad una minaccia “liquida” che ha fatto superare certe rigidità. Meno gerarchia e più partecipazione ma anche una minor 'cappa' legata al segreto e una security rimodulata in funzione dell'effettiva necessità.

Vent'anni fa era vietato far foto da un aereo. Se ben ricordo addirittura per un Regio Decreto.
Ai miei tempi era vietato portare qui una macchina fotografica. Ci sono ancora i cartelli di divieto ma è ovvio che l'evoluzione dei telefonini abbia reso obsoleta la prescrizione. Ci sono strutture che consideravano un successo operativo andare a fotografare un carro armato in Russia durante una parata militare. Il lavoro di “M” che assegna il compito al signor Paolo Bond è superato da quel che è oggi reperibile sulla rete. Chiunque, con un telefonino in mano è diventato cronista, fotografo, giornalista o spia.

Tornando alla Scuola, l'obiettivo è stato quindi pienamente raggiunto?
C'è ancora molto lavoro da fare. Ma il mio predecessore ha saputo mettere in piedi una realtà di grande valore. La Scuola è una struttura oramai matura per rispondere alle richieste e alle priorità delle Agenzie. Non solo rivolta ai giovani neoassunti ma anche all'aggiornamento periodico di noi veterani. Abbiamo tutti periodicamente bisogno di updates, dai dirigenti agli analisti. Qui convergono e si incontrano tre sfere relazionali con differente magnitudo: quello della scuola, della pubblica amministrazione e quello industriale. Cerchiamo di essere in contatto con realtà industriali italiane e straniere, da centri di ricerca come il Politecnico di Torino, dall'Intelligence Accademy della CIA alla Scuola Superiore della Magistratura a Scandicci. La parola d'ordine è contaminazione. Dobbiamo irrobustire un Dna identitario che è già presente ma va perfezionato. Come al tempo dell'unificazione sabauda ci si è sentiti subito tutti italiani ma ognuno ha portato con se le differenti origini. Allo stesso modo dobbiamo superare definitivamente quell'io sono di DIS, AISE, AISI. Siamo tutti uomini o donne dello Stato, giocatori di fascia per il decisore politico.

Il reclutamento come avviene?
Le vie sono l'autocandidatura sul sito e le università che – avendo trovato i requisiti richiesti – forniscono i curricula di chi è interessato. Si viene quindi chiamati per un colloquio informativo e chi mostra caratteristiche promettenti prosegue l'iter.

E la carriera? Il modello militare, ad esempio, all'arruolamento prefigura un certo orizzonte.
Non è un modello militare. Ogni anno, una o due volte, vengono esaminati i curricula per l'accesso al grado superiore in maniera scientifica. Una commissione composta da gradi apicali decide – sulla base di curriculum, qualità del lavoro svolto, attitudini, e altre caratteristiche – chi far avanzare.

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intelligence, italia, Leadership e classe dirigente

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Un appassionato di relazioni internazionali e studi strategici. In particolar modo di questioni connesse con l'intelligence.
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